30 anni di Internet in Italia: storia, errori e opportunità di un Paese (ancora) in transizione

Disclaimer: Questo articolo è stato pubblicato nel 2025 per celebrare i trent’anni della diffusione pubblica di Internet in Italia. È una riflessione aggiornata su ciò che è stato, ciò che abbiamo perso e ciò che possiamo ancora costruire.

Era il 30 aprile 1995 quando l’Italia si affacciava ufficialmente alla rete. Quel giorno, con la connessione del primo nodo pubblico a cura del CNR di Pisa, Internet diventava accessibile anche ai cittadini comuni, fuori dalle università e dai centri di ricerca. Oggi, a distanza di 30 anni, la domanda non è solo “quanto siamo cresciuti?”, ma anche: “cosa abbiamo imparato?”

I primi passi: modem, newsgroup e pionieri

Gli anni ’90 furono il tempo del suono del modem a 56k, dei forum su Usenet, delle chat IRC e delle prime e-mail inviate da universitari e professionisti curiosi. Il web era una frontiera da esplorare, fatto di pagine lente, testi in Times New Roman e gif animate.

L’Italia era tra i primi paesi europei con una rete pubblica, ma il digital divide era già in agguato: l’adozione fu lenta, frenata da costi alti, burocrazia e un sistema scolastico e imprenditoriale poco pronto.

Gli anni 2000: la corsa al web e l’illusione della modernità

Il Duemila portò con sé il boom dei portali (da Virgilio a Tiscali), l’esplosione dell’e-commerce e il mito delle startup. Ma anche un grande abbaglio: pensare che bastasse avere un sito per essere digitali.

Fu anche il decennio in cui nacquero:

  • La PEC, la carta d’identità elettronica, i primi esperimenti di e-government
  • L’Agenzia per l’Italia Digitale e i piani triennali per l’informatica nella PA
  • Le prime reti WiFi civiche (ma con mille ostacoli normativi)

Il decennio delle piattaforme (2010–2020): tra promesse e dipendenze

L’ingresso massivo dei social network ha cambiato per sempre l’ecosistema digitale. Facebook, YouTube, Instagram e poi TikTok hanno riprogrammato il nostro modo di comunicare, informare e vivere.

Nel frattempo, Google diventava l’unico punto di accesso a ogni sapere. Amazon ridefiniva il concetto di commercio. L’innovazione sembrava globale, ma l’Italia restava ai margini del software che conta.

La politica si accorgeva del digitale solo per campagne elettorali, spesso senza strategia, mentre le scuole e le imprese inseguivano strumenti senza comprenderne le logiche.

E oggi, nel 2025?

L’Italia è connessa, sì. Ma a velocità variabili:

  • L’88% delle famiglie ha accesso a Internet, ma solo il 61% lo usa con continuità e competenza
  • La banda ultralarga raggiunge il 76% del territorio, ma resta un 24% che sopravvive con ADSL o reti mobili instabili
  • La PA ha digitalizzato molti processi, ma spesso in modo frammentato, ridondante e poco centrato sull’utente

L’alfabetizzazione digitale è ancora il grande tema irrisolto. Il rischio non è più il digital divide tecnologico, ma il divide cognitivo e culturale.

30 anni dopo: cosa ci manca per diventare un Paese digitale?

Non bastano fondi, piattaforme o decreti. Serve una cultura.

  • Una cultura del dato e della trasparenza
  • Una cultura della manutenzione digitale: meno app, più cura
  • Una cultura del cittadino digitale consapevole, capace di esercitare i propri diritti nella rete (e fuori)

E serve una nuova generazione di artigiani digitali, capaci di costruire un’innovazione utile, inclusiva, sobria. Più open source e meno procurement milionario.

Conclusione:
Dopo 30 anni, Internet non è più una tecnologia. È un ambiente vitale. Come l’aria, l’acqua o l’energia. E va trattato come tale: con rispetto, visione e giustizia.

Fonti dati:

  • Istat – Cittadini e ICT, 2023
  • AGCOM – Relazione annuale 2024
  • CNR – Storia del primo nodo italiano
  • Dipartimento per la Trasformazione Digitale – Agenda Digitale 2024