Non c’è alcun dubbio: la disuguaglianza digitale (digital divide) è un freno per lo sviluppo del Paese. Sono oltre 2,6 miliardi le persone al mondo ancora offline, e questo accade nell’era dell’intelligenza artificiale, del cloud computing e dello smart working.
La connettività oggi ha un peso considerevole e un impatto sociale altissimo: in uno scenario globale così disastroso, l’Italia non è esente da problematiche relative alla raggiungibilità di rete in zone remote, o zone bianche, ai quali si aggiungono disservizi vari.
Il digitale è indispensabile per potersi informare, per restare connessi con gli altri, fare ricerca, nonché per il tempo libero. La scarsa connettività condiziona in maniera negativa l’adozione di applicazioni AI e quindi di innovazione e sviluppo dell’intero paese. Per questo lo sviluppo digitale ed economico va pensato anche in termini sociali, di competenze digitali e di inclusione.
In questo articolo tracceremo una mappa ideologica delle disuguaglianze digitali in Italia esplorando non solo i dati, ma anche le cause profonde e le possibili soluzioni.
Perché colmare il digital divide non significa solo installare fibra ottica o distribuire dispositivi: significa costruire una cultura del digitale condivisa, inclusiva, diffusa. Un obiettivo che riguarda l’intero sistema Paese.
Una panoramica del digital divide in Italia

Secondo il rapporto 2022 del Digital Economy and Society Index (DESI) l’Italia si colloca al 18° posto fra i 27 stati membri dell’UE, un risultato migliore rispetto agli ultimi 5 anni, ma non ancora adeguato per conseguire gli obiettivi dell’agenda digitale 2030.
Grazie al PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Italia ha portato la materia digitale nel dibattito politico e ha attuato diverse strategie finanziate per colmare il digital divide e avviare la trasformazione digitale del paese, eppure la percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro italiana è inferiore alla media dell’UE e le prospettive per il futuro sono indebolite dai bassi tassi di iscrizione e laurea nel settore.
Meno di un cittadino su due possiede competenze digitali di base, le reti in fibra ottica raggiungono ancora solo una parte del territorio, l’adozione dell’intelligenza artificiale da parte delle imprese è marginale. Questo non è solo un problema delle infrastrutture, è un problema per le persone.
Nel cuore dell’Europa digitale l’Italia si muove a velocità diverse: da un lato il paese investe miliardi nella trasformazione digitale, firma strategie ambiziose e si affida a piani di connettività ultrarapida, dall’altro vaste porzioni di territorio, tra cui aree interne ai borghi montani e periferie urbane, restano ancora scollegate dalla rete e dalle opportunità.
Dove e perché esistono ancora disuguaglianze digitali in Italia
Con il termine digital divide si sottolinea una sproporzione in materia digitale tra diverse zone del Paese. In Italia, spesso il digitale divide è molto marcato tra nord e sud, tra aree in cui Internet è la realtà quotidiana e aree in cui la connessione di rete è una comodità sconosciuta.
Questo crea un’esclusione dai benefici del progresso tecnologico, un ritardo nell’innovazione e difficoltà di integrazione per le persone. Oggi il divario che esiste in Italia non è così netto sulla mappa, piuttosto si insinua profondamente in diversi settori economico, sociale e culturale in tutto il Paese. Si passa facilmente da zone con la connessione 5G ad altre in cui la rete è ancora un miraggio nel giro di pochi chilometri.
Con il termine digital divide non si indica solo l’assenza di rete quanto la disparità di accesso, la mancanza di competenze tecniche nonché di possibilità economiche che rendono ciò che per molti è normale quasi un’utopia.
Significa vivere in un luogo in cui è impossibile fare smart working, in cui non si possono seguire lezioni online, né accedere a servizi pubblici digitali come ad esempio lo SPID, l’identità digitale, e ricevere ricette mediche a distanza. Significa essere tagliati fuori da una fetta importante della vita contemporanea. E questo accade, ancora oggi, in molte aree d’Italia, non sempre le più remote.
Accesso a Internet e qualità delle infrastrutture
Pur avendo compiuto dei passi avanti a livello infrastrutturale, l’Italia resta ancora arretrata ed è difficile parlare di equità digitale. Secondo il DESI 2022, la copertura 5G è salita al 99,7% delle zone abitate, mentre la copertura della fibra ottica fino all’abitazione (FTTP) si ferma al 44% delle famiglie, un dato ben al di sotto della media europea del 70%.
Le cosiddette aree bianche, ovvero tutte quelle zone dove gli operatori non hanno particolare interesse economico a investire, restano tuttora scoperte o servite da connessioni lente e instabili. Le zone rurali, montane e le piccole isole sono invece addirittura escluse. Vengono attivati nel frattempo piani pubblici che cercano di colmare il divario, ma la distribuzione effettiva e l’attuazione sul territorio non risulta uniforme.
Scuole e ospedali sono i protagonisti di questi interventi ma gli impatti concreti si fanno sentire solo nel medio-lungo termine. Ovviamente il problema non è solo quello di poter accedere a Internet, quanto piuttosto la possibilità di avere una rete veloce, stabile, inclusiva. Un divario che penalizza istruzione, socialità, servizi, etc. Un danno economico e sociale non indifferente.
Il digital divide non è un fenomeno fisso, costantemente influenzato com’è da numerose variabili sia micro che macro. La sua evoluzione può essere descritta secondo un approccio di normalizzazione, in cui il divario informatico va gradualmente a normalizzarsi e le competenze a livellasi progressivamente, oppure secondo un approccio di stratificazione, che indica invece un incremento delle disuguaglianze virtuali nate con la rete e che sono destinate a protrarsi nel tempo con effetti sempre più discriminatori.
Divario generazionale, geografico e socioeconomico

Come dicevamo non si tratta di un divario geografico netto, quanto piuttosto di molte aree distribuite sul territorio e piccole isole che non riescono a raggiungere lo stesso livello delle grandi città, ad esempio. Il divario generazionale è forse uno dei più visibili: secondo i dati solo il 46% degli italiani possiede competenze digitali di base, una percentuale che scende ulteriormente tra gli over 65.
Questo vuol dire che milioni di persone non hanno una PEC, non possono gestire lo SPID o la prenotazione di una visita medica online perché non ne hanno le capacità e non solo perché non hanno accesso alla rete. L’alfabetizzazione digitale è la chiave per permettere a tutti di poter usufruire de servizi di base utili per la propria persona e salute.
Il digital divide può essere generazionale, perché i soggetti più anziani vivono l’esclusione digitale, ma anche di genere, poiché le donne non occupate sono crescono sempre di più, ad esempio.
A fare le spese del digital divide sono anche gli immigrati che vivono un disagio linguistico-culturale, le persone con disabilità, i detenuti e tutti coloro che hanno un basso livello di istruzione e scolarizzazione che non sono in grado di utilizzare gli strumenti informatici.
Il divario maggiore è principalmente educativo e socioeconomico: le regioni con livelli di istruzione più bassi sono spesso quelle in cui il divario digitale è più marcato. Le competenze avanza sono ormai prerogative di una minoranza di appena il 23%, mentre il numeri di laureati in materie ICT è tra i più bassi d’Europa.
Un ritardo strutturale nella formazione e nell’interesse per il settore tech, spesso vissuto anche culturalmente come qualcosa di distante, difficile e elitario. Per molti di questi ragazzi si tratta anche di un problema economico: l’accesso alla connessione può avere un costo proibitivo per molte famiglie dove la povertà si accompagna alla povertà digitale.
Strategie per colmare il digital divide
Come abbiamo detto, anche se negli ultimi anni l’Italia ha accelerato il passo, siamo ancora molto lontani da un equilibrio che sia in grado di garantire pari opportunità digitali a tutti i cittadini. La sferzata offerta dal PNRR a seguito della pandemia del Covid-19 è solo l’inizio.
L’Europa ha imposto che entro il 2030 si debba raggiungere l’uguaglianza digitale tramite il Digital Compass 2030: the European Way for the Digital Decade. Questo passo strategico proposto dalla commissione Europea si focalizza sulle competenze digitali e si impone obiettivi ambiziosi ma raggiungibili se ben guidati.
Gli obiettivi proposti riguardano l’incremento delle competenze digitali e professionali ICT, la creazione di infrastrutture sostenibili, l’avvio della trasformazione digitale delle imprese e infine la digitalizzazione dei servizi pubblici. Un progetto ampio che permette ai paesi europei di ottenere investimenti cospicui per sviluppare i propri obiettivi.
L’obiettivo primario è quello di creare cittadini autonomi, responsabili e competenti in materia digitale, con conoscenze di base ma anche professionisti altamente specializzati. L’innovazione digitale prosegue ed è destinata a plasmare il nostro futuro: tra Intelligenza Artificiale, trasformazione digitale e migrazione al cloud della Pubblica Amministrazione, tutti sono chiamati a far parte di questo cambiamento e lasciare indietro qualcuno vuol dire assistere a un fallimento.
Colmare le disuguaglianze tecnologiche è una sfida sistematica che richiede previsione politica, investimenti mirati, collaborazione pubblico-privato e cultura dell’innovazione.
Iniziative pubbliche e private in corso
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta la più grande occasione di sempre per poter colmare le mancanze del nostro sistema digitale. Il 25% del budget complessivo (48 miliardi di euro) è destinato alla transizione digitale, con progetti trasversali che spaziano dalla connettività ultraveloce alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, fino alla formazione di nuove competenze.
Accanto alle iniziative pubbliche anche le aziende devono fare la loro parte, che si tratti di operatori di telecomunicazioni che si occupano di espandere la linea 5G, insieme a tutte le aziende che possono collaborare con il mondo dell’istruzione.
Infine la Pubblica Amministrazione sta attivando la migrazione al cloud compunting che garantisce efficienza, sicurezza e resilienza dei sistemi amministrativi. Sono in crescita l’uso dello SPID, della carta di identità elettronica, e dell’app IO, che permettono ai cittadini di accedere a moltissimi servizi anche sanitari.
Il ruolo della scuola e dell’educazione digitale
Se il digital divide è anche una frattura culturale, la scuola è il luogo da cui tutto deve ricominciare. La trasformazione della società richiede che anche la scuola si rinnovi e che sia capace di integrare le tecnologie digitali e farle entrare nella quotidianità dei bambini. Educare al digitale non vuol dire solo imparare a usare i Device, ma sviluppare un pensiero critico, una consapevolezza e la cittadinanza digitale, ovvero imparare a riconoscere le fake news, tutelare i propri dati, e collaborare efficacemente con gli strumenti digitali.